Alcune persone imparano a negoziare sul lavoro, altre in un’aula di formazione, altre ancora da un consulente privato. Nel caso di Nelson Mandela, “la prigione gli ha insegnato a essere un principale negoziatore” scrive Bill Keller nel suo necrologio del leggendario attivista nel New York Times – il presidente simbolo, deceduto il 5 dicembre 2013.
Poco dopo il suo arrivo nella brutale prigione di Robben Island in Sudafrica per una condanna all’ergastolo, Mandela “assunse una specie di comando”, scrive Keller. Lui fece amicizia con molti dei suoi “rapitori” bianchi, che presentò ai visitatori come la “mia” guardia d’onore.
Cercò di convincere i giovani detenuti politici ad analizzarne i punti di forza degli avversari piuttosto che precipitare a capofitto in un conflitto. Era consapevole che in un conflitto qualcuno vinceva e qualcuno perdeva ma, entrambi, sotto sotto, avrebbero perso; è quello che accade in guerra.
In più durante i suoi 27 anni di prigione, Mandela assorbì profondamente il valore della pazienza, della disciplina e dell’empatia.
Decenni più tardi, Mandela adottò un approccio negoziale quando ci fu la fatidica rottura con la linea del partito dell’ANC. Nel 1985, 23 anni dopo la sua prigionia, numerosi segnali, tra cui la pressione internazionale, un devastante boicottaggio commerciale e la crescente violenza tra manifestanti e polizia stavano indicando che il regime dell’apartheid si stava indebolendo.
L’ANC sosteneva che non avrebbe negoziato con il Governo sud africano.
Lo stesso Mandela aveva personalmente respinto la possibilità di negoziazione in numerose dichiarazioni pubbliche, in particolare una volta dicendo: “Solo gli uomini liberi possono negoziare”
Nel frattempo, anche il governo aveva preso una linea dura contro i negoziaticon l’ANC, pensava che negoziare potesse significare debolezza.
Entrambe le parti hanno insistito sul fatto che non avrebbero negoziato a meno che una delle parti non avesse dato dimostrazione di una significativa concessione (questo accade quando i conflitti sono prolungati e una delle due parti ha la pretesa di avere un evidente segnale dalla controparte…).
Ma, quando anche solo una delle due parti richiede che l’altra rinunci a un significativo potere contrattuale prima ancora che inizino i colloqui, la negoziazione è improbabile e il conflitto si stratifica, consolidato dal tempo.
Visto lo stallo radicato, è stato notevole che Mandela decise di tentare di avviare delle trattative tra ANC e il governo. Ancora più sorprendentemente, non aveva l’autorità per parlare a nome dell’ ANC, che era gestito come un collettivo.
Ritenendo che i suoi colleghi leader dell’ANC non fossero d’accordo con la sua decisione, Mandela ha segretamente inviato una lettera al ministro della giustizia sudafricano, Kobie Coetsee, in cui si è offerto di incontrarsi privatamente per discutere la possibilità di effettuare dei negoziati.
Coetsee alla fine accettò, e i due uomini organizzarono colloqui clandestini che gettarono le basi per un Sudafrica post-apartheid democratico.
“Ci sono momenti in cui un leader deve spostarsi davanti al gregge”, ha scritto Mandela della sua audace decisione nella sua autobiografia “Un lungo viaggio verso la libertà” (che suggerisco come lettura…).
Mandela, cresciuto da un eminente capo tribale, ci offre anche un’altra utile metafora, quella del pastore.
Come risultato delle lunghe ore trascorse durante l’infanzia ascoltando le conversazioni sulla costruzione del consenso nel consiglio tribale, Mandela ha osservato che il capo “stava dietro al gregge, lasciando il più agile ad andare avanti, dopo di che gli altri seguono, senza rendersi conto di essere guidati da dietro. “
La citazione suggerisce il valore di fare pressione sugli altri a sostegno della tua causa, poi lasciandoli fare la tua argomentazione a chi è distante dalle tue posizioni (strategia di mappatura all’indietro…)
“L’odio oscura la mente”
Una notevole qualità di Mandela era la sua capacità di negoziare con calma con i suoi nemici anche se, in quello stesso momento, erano immersi in una lotta passionale e appassionante fra di loro.
Sempre Mandela: “Odiare le nuvole mente. Ostacola la strategia. I leader non possono permettersi di odiare”
Anche se Mandela riuscì in gran parte a regolare le proprie emozioni, il suo acuto senso di empatia gli ha permesso di identificare i modi per capitalizzare le emozioni delle sue controparti e avversari.
Per fare un esempio, dopo essere stato eletto presidente del Sudafrica nel 1994, Mandela ha affrontato il compito di porre fine al conflitto violento tra ANC e Inkatha Freedom Party, guidata da Mangosuthu Buthelezi.
A differenza di altri membri dell’ANC, che hanno demonizzato Buthelezi, Mandela lo ha accolto con favore nel suo nuovo governo, una decisione che ha contribuito a porre fine al violenza
Come descritto in questo breve passaggio della storia di un grande leader, quale fu Nelson Mandela, è probabile che tu abbia letto tra le righe che l’intelligenza emotiva è un’abilità preziosa per i negoziatori; ci permette di leggere con precisione le nostre emozioni e quelle della controparte. Gestire le nostre emozioni, in un contesto negoziale, ci permette di prendere le decisioni migliori per mediare con successo sia una trattativa che un conflitto.
Per coltivare questa abilità, trascorri del tempo ascoltando e osservando i tuoi colleghi negoziatori, prendendo atto delle loro insicurezze e rimostranze. Così facendo riuscirai ad affrontare le loro preoccupazioni principali, che avrà l’effetto di ammorbidire la loro posizione sulle questioni che contano di più per te.
Altro spunto è che l’azione negoziale prevale sull’ideologia. Come illustrato dalla sua eventuale volontà di negoziare con il governo dell’apartheid, Mandela era in fondo un pragmatico piuttosto che un ideologo.
Non era un teorico, ma era un attivista, era un uomo che faceva le cose ed era sempre pronto, era il primo a fare qualsiasi cosa pericolosa o difficile.
Questa tendenza all’azione ha portato Mandela a contraddirsi a volte, come quando allontanò l’ANC dalla non violenza a favore dell’insurrezione armata sulla scia di un massacro di polizia di manifestanti pacifici nel 1961.
Ha spiegato più tardi che la sua retorica sulla non violenza era stata “non un principio morale ma una strategia; non c’è bontà morale nell’usare un’arma inefficace”
La decisione di Mandela di avviare negoziati con il governo sudafricano dalla prigione può essere l’esempio più importante della sua volontà di cambiare le sue posizioni al servizio dei suoi obiettivi più grandi.
In genere, scegliamo di non negoziare in tali situazioni, ci trinceriamo dietro le nostre posizioni/interessi o consentiamo che la controversia si intensifichi.
Non negoziare con un nemico per motivi morali può essere una legittima decisione. Ma, siccome i nostri giudizi morali tendono ad essere basati sull’intuizione, non su un processo razionalizzato, possono essere trappole pericolose.
Quando prendiamo una posizione rigida senza analizzare a fondo i probabili costi e benefici della negoziazione, rischiamo di permettere ai nostri principi di ostacolare il bene superiore e di ottenere di più.
Essere un Negoziatore Vincente significa non commettere l’errore di affidarsi al “caso” per ottenere di più dalle relazioni (aziendali, commerciali e non solo).
In qualsiasi contesto organizzativo, saper negoziare è l’abilità fondamentale per gestire con risultati efficaci conflitti e diversità di posizione. Non negoziamo perché non siamo preparati e perché non pensiamo che si possa ottenere di più. Rinunciamo in partenza o nel mentre per mancanza di preparazione alla negoziazione.
La negoziazione è un processo, che richiede addestramento e competenze specifiche, come la capacità di scegliere lo stile negoziale più adatto, la strategia migliore e le relative tecniche a seconda della situazione
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Loris Comisso
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